La Mostra veneziana ha fatto onore anche quest’anno all’Arte Cinematografica. Oltre alla qualità del Festival, che ha rappresentato al meglio la produzione del cinema nel mondo, ci ha consentito, ancora una volta, di approfondire l’indagine sulle varie forme che può assumere la censura nel campo della settima arte. Alla classica censura amministrativa e del mercato, pur presente, soprattutto nella benemerita sezione Venezia Classici (basti pensare, fra i tanti, a La donna scimmia di Marco Ferreri, con i suoi tre finali), si è aggiunto un altro tipo, non unico, ma assai raro, con Il tentato suicidio nell’adolescenza (T.S. giovanile), un inedito di Ermanno Olmi, Evento Speciale delle Giornate degli Autori.
Come mai un film-documentario di uno dei maggiori registi italiani, girato nel 1968, è giunto a noi, grazie all’Istituto Luce, solo nel 2017, cioè è rimasto invisibile al pubblico, quindi in qualche modo censurato, per quasi cinquant’anni? Cerchiamo di rispondere, ammesso che ci sia una risposta specifica, a questo interrogativo andando con ordine, cioè ricostruendo, grazie anche a una preziosa nota di Tatti Sanguineti, la storia di questo straordinario ritrovamento. Un archivista dell’Istituto Luce, Maurizio Orsola, recatosi in missione a Brescia presso il Museo dell’industria e del lavoro, della Fondazione Micheletti, individua, coadiuvato da un archivista del Museo stesso, Stefano Guerrini, quattro scatole, collocate su differenti scaffali, con la sigla T.S. Con prodigiosa intuizione i due ricercatori aprono le scatole e scoprono che T.S. stanno per Tentato suicidio giovanile, titolo di un medio metraggio, 35 minuti, firmato da Olmi e prodotto da Rino Palumbo per la Sandoz, multinazionale svizzera. Ulteriori indagini consentono di stabilire che l’opera non è mai stata proiettata in pubblico e non figura nelle filmografie di Olmi, neppure nelle più minuziose. Olmi stesso non ne ha memoria.
Fin d’ora possiamo anticipare la considerazione che la macchina cinema, per sua stessa struttura, può dar luogo a fenomeni di occultamento o, peggio, di scomparsa definitiva di testi filmici importanti, anche dovuti ad autori di fama internazionale. Ma andiamo oltre e vediamo di quale argomento tratta il documento riportato alla luce, nel quale è pienamente riconoscibile lo stile dell’Olmi di quagli anni. Come dice il titolo, tratta del problema dei tentati suicidi da parte di adolescenti, in particolare di una giovane, che possiamo ritenere la protagonista del film e che sappiamo non essere in realtà un’aspirante suicida, ma un’aspirante attrice, che interpreta la parte di una ragazza profondamente delusa da una storia d’amore. Però, in questo condensato dell’originalissimo stile documentaristico del nostro regista, c’è anche dell’altro: oltre le vicende di molti tentati suicidi, ci sono le storie che ne stanno alla base e il loro contesto sociale, le puntuali interviste con i giovani stessi, ma anche con i loro parenti e con i medici ospedalieri.
In quegli anni, infatti, si era costituito, presso il Policlinico di Milano, uno sperimentale reparto psichiatrico d’urgenza, diretto dal famoso Carlo Lorenzo Cazzullo, coadiuvato da uno staff numeroso e qualificato di psichiatri. L’iniziativa pare assai motivata dal fatto che, fra il 1962 e il 1967, erano stati ricoverati in tale reparto, per tentato suicidio, ben 1193 adolescenti, la maggioranza dei quali erano ragazze. Da notare che il mezzo più diffuso per tentare di togliersi la vita era l’avvelenamento da farmaci. Infine, si completa il quadro aggiungendo che la multinazionale farmaceutica Sandoz, specializzata nella produzione di psicofarmaci, aveva già prodotto vari mediometraggi e, proprio l’anno precedente, realizzato un film sulla schizofrenia che, a detta di Sanguineti, era un eguale-contrario dell’opera ritrovata.
A questo punto ci rendiamo conto che, nonostante i numerosi indizi, non possiamo indicare con certezza nessuna censura operata intenzionalmente sul nostro reperto. Non la Sandoz, che pure aveva investito sul documentario e poi l’aveva “dimenticato”, ma neppure le varie lobby, che pure esistevano ed esistono nell’ambito della psichiatria ospedaliera, come qualcuno ha voluto insinuare. E allora? Come già accennavamo, l’industria cinematografica è una struttura complessa che produce film per il mercato, ma a volte li nasconde, li disperde e, perfino, li distrugge. Quello che possiamo dire con certezza, di fronte a questo fenomeno connaturato alla macchina cinema, è che i film difficilmente si perdono per caso.
Cristina Berti Ceroni
Pubblicato sul progetto “Italia-taglia”