Pillole o parole?
Per alcuni decenni successivi all’avvento degli psicofarmaci negli anni ’50 del secolo scorso, l’uso delle terapie psicofarmacologiche è stato riservato alle condizioni psicopatologiche più severe, mentre la psicoterapia, tanto di orientamento analitico quanto cognitivo-comportamentale, tendeva ad essere maggiormente impiegata nelle patologie psichiche così dette “minori”, o in quelle forme di disagio non connotabili con una precisa diagnosi.
Esisteva, inoltre, una forte contrapposizione fra coloro che ritenevano le terapie psicologiche, ed in particolare la psicoanalisi, come l’unica vera possibilità di risolvere le problematiche intrapsichiche; e dall’altra parte i sostenitori delle cure psicofarmacologiche come conseguenza della natura biologica del disturbo psichico.
A partire ormai da alcuni decenni, invece, entrambi questi assunti sono stati decisamente superati.
La ricerca empirica ha infatti dimostrato l’efficacia, in termini di esiti clinici, sia delle psicoterapie che delle terapie farmacologiche.
Alcune ricerche, tra cui quelle condotte in Italia da Fava e Collaboratori, hanno inoltre mostrato la maggior efficacia della terapia farmacologica associata alla psicoterapia, rispetto all’utilizzo dei soli farmaci.
Sul piano neuro-scientifico, vari studi raccolti in una metanalisi pubblicata sull’autorevole Psychological Medicine, hanno mostrato, attraverso tecniche di neuroimaging, che la psicoterapia è in grado di produrre modificazioni nel funzionamento cerebrale nelle aree che regolano la vita emotiva, così come gli psicofarmaci, anche se questi ultimi incidono su funzioni distinte rispetto a quelli su cui agisce la psicoterapia.
Questi dati sono di estremo interesse, poiché indicano con chiarezza che la psicofarmacoterapia e la psicoterapia sono interventi entrambi efficaci, ma complementari, nella sofferenza psichica.
Nella pratica clinica tutto ciò si traduce nell’uso integrato di “pillole e parole”, modalità che richiede una specifica competenza e spesso la collaborazione di più professionisti.
Concludendo con un esempio più esplicito, possiamo citare il caso in cui una persona sofferente di attacchi di panico o di depressione, viene in una prima fase curata sia con la psicoterapia che con i farmaci, laddove questi ultimi hanno lo scopo di alleviare in modo incisivo e rapido la sintomatologia, lasciando poi il posto alla prosecuzione dell’intervento psicoterapeutico che, in tempi più lunghi, può risolvere le origini della sofferenza psichica.
Fava G.A, Rafanelli C. L’approccio sequenziale nel trattamento della depressione maggiore. Psichiatria di comunità; volume V; n. 2 giugno 2006.
Roffman J.L., Marci C.D., Glick D.M., Dougherty D.D., Rauch S.L., (2005). Neuroimaging and the functional neutoanatomy of psychotherapy. Psychological Medicine 35, 1385-1398.